Avrete senz’altro sentito parlare delle quattro nobili verità del canone buddhista (La verità del dolore, la verità dell’origine del dolore, la verità della cessazione del dolore, la verità della via che porta alla cessazione del dolore). Per il buddhismo l’origine del dolore è tanha (pali) o trishna (sanscrito) parole che poi sono state tradotte con desiderio ma che significano letteralmente ‘sete’, ‘brama’. Mi sembra che qui si parli della dinamica del bisogno e della frustrazione. Tuttavia anche i desideri umani più nobili incontrano i limiti della transitorietà. Mi ha sempre colpito il contrasto tra una visione di ‘rinuncia’ che nel nostro codice culturale tendiamo a sentire come deprivazione punitiva e le facce sorridenti e giocose dei monaci tibetani. Forse è l’eccessivo attaccamento a essere fonte di sofferenza.
Mi sembra che Raimon Panikkar abbia fatto molto per restituire dignità al desiderio secolare e riconnetterlo con l’aspirazione come «intimo atto personale [che corrisponde al] dinamismo dell’essere»
Due opposte etimologie di desiderio (latino desiderare) rivelano la complessità di ciò che è in gioco: il bisogno di riconciliare natura e cultura, determinismo e libertà, oggetto e soggetto, pensiero e affetti.
De-siderare viene dal latino siderare, che significa osservare attentamente, prendere in con-siderazione (stessa etimologia!) le stelle. Ora se il prefisso va inteso come allontanamento da questa contemplazione stellare, il de-siderio nascerebbe quando ci liberiamo dall’orizzonte fisso di ciò che le stelle si dicessero rappresentare, le leggi più o meno ‘fisse’ del destino o quelle del karman quelle che ci fanno nascere sotto una “buona” o “cattiva” stella. il desiderio sarebbe congruo con la battaglia per affermare il nostro essere soggetti al di là e attraverso ciò che assoggetta. E’ forse per questo che il desiderio può quasi implodere anarchicamente e distruttivamente in una passione egoica che divora e consuma.
Se d’altro canto il prefisso de va inteso come intensificatore, il significato di desiderio sottolineerebbe invece la necessità di contemplare il modello e mistero celeste di ciò che condiziona la natura umana. O con un’interpretazione leggermente diversa, la nostalgia desiderante nascerebbe dalla capacità di contemplare un indecifrabile ordine celeste che sottende il mistero del destino individuale. Su questo versante il motivo desiderante dialoga con l’aspirazione. Simone Weil lo dice così: “La bellezza è ciò che desideriamo quando non vogliamo mangiarla. Vogliamo solo che sia.”
Due etimologie apparentemente opposte. Siamo certi che siano inconciliabili?
A proposito di buddhismo segnalo il suicidio nei giorni scorsi di ben sette monaci in Tibet che si sono dati fuoco per protestare contro le nefandezze della biopolitica cinese in Tibet. Colpisce che i giornali non ne abbiano fatto cenno.