Archivi tag: Edward Edinger

Guarire dalla fine

cov-1Abbiamo tutti iniziato a sentire parlare di Ground Zero dopo la tragedia delle Torri Gemelle nel 2001.  Ho scoperto che quello era il secondo Ground Zero solo quando ho letto Dreaming  the end of the world (1994) – Sognare la fine del mondo – del terapeuta ‘chicano’ Michael Ortiz Hill . Michael riporta una serie di sogni (di pazienti e non) sulla fine del mondo. Hill racconta anche della sua esperienza iniziatica al primo Ground Zero. Ground Zero designò inizialmente il luogo della prima esplozione atomica nella storia dell’umanità, nel test denominato “Trinity” da Robert Oppenheimer, esplosione che avvenne nel deserto del New Mexico a trecento chilometri da Los Alamos dove aveva sede il progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba. Nel giugno del 1988 Hill ha fatto una spedizione notturna per scavalcare la recinzione del Ground Zero atomico e seppellirvi una statuetta di KwangYin, la dea/boshisattva della compassione del pantheon buddista.

Nei sogni raccolti nel corso di molti anni da Hill emerge con forza l’ambivalenza della narrazione apocalittica sedimentata nel nostro inconscio culturale. Per esempio, la figura del salvatore e quella del distruttore formano sovente una coppia indivisibile. A volte i ruoli si scambiano. Altre volte il sogno pare perdere il bandolo della matassa e il tema della distruttività prende la forma di una cerca labirintica e oscura. I sogni di distruttività sovente mettono in questione le troppo facili identificazioni proiettive. Ne cito uno, tratto dalla raccolta di Hill che dunque è anteriore al 1994:

E’ Capodanno. Sono in cima a una delle twin towers a New York e il mondo sta per esplodere.

Ci raduniamo intorno a un tavolo da conferenze e cerchiamo di negoziare con l’attentatore. E’ vestito con un completo d’affari, elegante ma ha gli occhi folli ed è al di là di ogni possibilità negoziale. La sua vecchia madre gli sta di fianco, borbotta tra sé ed è molto concia. Per dimostrarci che è abbastanza folle, prende sua madre per le caviglie, la fa roetare intorno alla testa e la butta giù dal grattacielo.

Per qualche motivo la bomba non esplode a mezzanotte. Scopriamo che qualcuno l’ha rubata. Cerchiamo con affanno in un labirinto di porte, corridoi e cancelli. Ora chi è che ha la bomba?”

Dire ‘dove si nasconde il male’ (o il bene) diventa un po’ complicato (ma non meno importante): è il folle uomo d’affari, figlio di una madre malconcia con cui chiudere i conti? O questo è solo un travestimento? Con che cosa è impossibile ‘negoziare’? E poi adesso chi è che ha la bomba? Il sogno si chiude con un’incertezza. Ma anche con una bomba che non esplode. Nel suo importante contributo The Archetype of Apocalypse Edward Edinger ha sottolineato come i sogni apocalittici tentino sovente di portare alla coscienza una nuova paradossale realizzazione, nel tentativo di sanare la scissione  che ha caratterizzato Cristianità (come istituzione politica) e  Cristianesimo (come sistema di credenza), e che oggi dovrebbe iniziare a trapassare in una Cristianìa (Panikkar) capace di andare oltre il dualismo.

La distruttività, la stessa idea di una fine apocalittica è una dimensione psichica e antropologica che continua a sfidarci a fare i conti con il male e a pensare un futuro diverso. Jean Michel Hirt ha appena pubblicato La dignité humaine (Parigi, 2012) un libro in cui riprende i diari di Etty Hillesum nei tre anni che precedono la sua fine ad Auschwitz, per ragionare da psicoanalista sulla distruttività legata alle grandi identificazioni collettive. Scrive nella presentazione: «Grazie alla rivoluzione che la Hillesum compie diventa possibile resistere in quanto individuo singolare al dominio delle masse sulloGrCheqDej-cahierE1-BatB spirito, diventa possibile costruire l’umano in ogni uomo, dato che nulla è acquisito in questo senso grazie alla sola appartenenza alla specie umana».

Mi viene anche in mente l’ossimoro di Benjamin sulla redenzione ‘debole’ (non totalizzante?) di una ‘dialettica immobile’ con cui voleva (forse) esprimere l’intuizione della necessità di andare oltre l’infinita dinamica di conflitto e sintesi per accogliere e redimere in sé anche le apocalissi e il non senso di ogni passato.

Lascia un commento

Archiviato in antropologia, narrazioni, psicoanalisi, quel che resta del mondo, spiritualità